Intervista a Pedriny: Dota2 nel cuore e in cantiere un progetto esport enorme, ma ancora top secret! “Gli esports? Sono un delizioso rompicapo”

Ogni settimana Esportsmag proporrà un’intervista ad un personaggio che ha saputo ottenere risultati notevoli o, in qualche modo, ha saputo distinguersi nel panorama esports italiano. Opinionisti, pro player, caster, coach e mental coach, imprenditori, streamer…, le professioni, e le professionalità, richieste dal mondo del videogame competitivo sono molte, più di quelle che si può immaginare, e richiedono un livello di competenza sempre più approfondito e trasversale, dato che si parla di un fenomeno nuovo, ma anche stratificato e crossmediale. Vedremo di incontrarle e di conoscerle tutte.

Iniziamo dunque questa nuova rubrica domenicale con uno dei personaggi di spicco dell’esport italiano, Filippo Pedrini, in arte Pedriny, o anche The Esports Maestro. Alzi la mano chi non ha mai sentito il suo grido di battaglia “Boom! Pedriny esport hero” all’inizio dei suoi video su Youtube; alzi la mano chi non ha mai sorriso (magari assaporando il retrogusto amaro) di fronte alle sue predizioni, caustiche ma dannatamente precise, su Instagram; le sue stroncature o i suoi laconici complimenti (senza fronzoli o leccatine) su Facebook; o alle sue punzecchiature su Twitter che con estrema eleganza colpiscono spesso proprio lì, dove l’esports prude di più.

Personaggio affabile, poliedrico, determinato e competente, già, ma da dove nasce l’Esports Maestro? Come è iniziato (con quale scintilla si è acceso) il percorso che ha fatto nascere Pedriny?

La mia passione per gli esport nasce nel lontano 2010. All’epoca mi ero appena trasferito a Tokyo (dove poi ho vissuto circa 3 anni) e la scuola di lingua che frequentavo era piena di coreani, molti dei quali sono diventati col tempo miei amici. Chi ha qualche primavera alle spalle dovrebbe ricordare che il 2010 è stato l’anno in cui è uscito Starcraft II, il seguito di uno dei titoli competitivi più famosi di sempre in Corea. E così venni introdotto agli esport da coreani malati di Starcraft, che non solo mi istruirono sulla loro scena competitiva, ma addirittura mi insegnarono a giocare. Fu un battesimo di fuoco che ricordo ancora oggi dopo quasi 10 anni (non penso di aver mai vinto una singola partita contro di loro comunque), ma lì è nato il mio interesse e la mia passione per gli esports.

2. E l’Esport Maestro?

L’Esport Maestro invece, nasce come idea intorno alla fine del 2015, idea concretizzatasi ufficialmente soltanto l’anno dopo, nel 2016. I tempi erano abbastanza maturi per provare a parlare di esport sui social media, e soprattutto per farlo con un progetto a lungo termine. Avevo in mente qualcosa che mischiasse l’intrattenimento (e un personaggio sopra le righe) con l’informazione; la spettacolarità della narrazione esagerata, unita a concetti ancora poco diffusi nel nostro paese.

3. Pensi di essere cambiato molto rispetto agli esordi? Ora qual è la veste ufficiale dell’Esport Maestro?

Ovviamente ora il mio percorso si è evoluto, concordemente alla scena italiana. Ora mi sono spostato verso la parte business, con un ruolo di advisor e consulente per aziende, società sportive o privati. Chi dice che sono cambiato in realtà non capisce che è l’ecosistema italiano a essere mutato, quello di cui c’è bisogno ora non è la stessa cosa di cui c’era bisogno 2 anni fa quando ho iniziato. E meno male direi.  

4. Da esperto cosa diresti che manca ancora al’esport in Italia? Qual è la prima cosa che ti viene in mente e che, se potessi, faresti a partire da domani?

Tolto un’oggettiva difficoltà tutta italiana legata all’accesso al credito (ma questo riguarda la situazione economica del nostro paese in generale, non è legata soltanto ai videogiochi competitivi), direi che manca, per chi è appassionato di esport “minori”, la possibilità di emergere sul suolo nazionale. Mi spiego meglio, se sei un giocatore professionista, o un commentatore, o un coach o un analyst di titoli come Dota 2, Super Smash Bros, Rocket League etc…  ora come ora nella scena italiana hai zero, e sottolineo “zero”, chance di poter trasformare questa tua competenza in un lavoro. Devi per forza puntare all’estero, direttamente alla scena internazionale senza però avere un ecosistema italiano in grado di supportarti, come invece accade in altri titoli come League of Legends, Fortnite, Fifa o Rainbow Six. Il gap, la disparità tra alcune scene, sono ancora troppo marcati qui in Italia.

5. Questo riguardo ai singoli, ma volendo dare uno sguardo ai team? Nel nostro paese ci sono squadre già molto attive; al di là dei risultati fin qui ottenuti chi secondo te, in prospettiva, sta facendo il lavoro migliore?

Ne cito due: Qlash e Mkers. Hanno due approcci differenti, quasi opposti, uno procede per accumulo l’altro per concentrazione ma sono entrambi validi. Ovviamente c’è anche qualche sbavatura perchè diciamocelo, nessun team in Italia ora è perfetto, ma rispetto solo a qualche anno fa sono stati fatti passi da giganti. Voglio sottolinearlo: passi da giganti.  

6. Torniamo a Pedriny. Se l’Esport Maestro fosse un pro player in quale esport lo vedremmo cimentarsi?

Se dovessi rispondere con il cuore direi Dota 2, uno dei titoli esport più affascinanti e complessi che sia mai stato creato. La varietà di stili di gioco e situazioni che si vengono creare è semplicemente sconfinata. E poi i Moba sono il mio genere. Se dovessi invece rispondere con la testa direi Fortnite. Perché in fin dei conti il pro player è un lavoro e non ci vedo nulla di male a passare al gioco più “ricco” e di successo del momento. Inoltre saper modellare il proprio talento da videogiocatore su più titoli è una skill decisamente rara. Sono infatti un grande fan del pro player che trascende il singolo gioco adattandosi alle epoche e ai generi. Come i player di tanti anni fa, che un anno li vedevi vincere su Quake e l’anno dopo su Unreal Tournament, dimostrando una capacità di adattamento senza eguali che oggi si è un po’ persa.

7. Recentemente ti abbiamo visto collaborare con la Gazzetta dello Sport, hai qualche altro progetto in ambito esports per il prossimo futuro? Ci puoi raccontare qualcosa in merito?

La collaborazione con Gazzetta è stata un cosiddetto one-shot. Avevo voglia di fare un pezzo particolare, transmediale, un crossover l’ho chiamato io: un contenuto premium che iniziava in forma di articolo su Gazzetta e finiva con un video sul mio canale Youtube. Non escludo che in futuro ci possano essere altre collaborazioni di questo tipo, magari anche con altre testate, ma la cosa rimarrà circoscritta a pochi e speciali eventi. Adoro scrivere ma sono abbastanza onesto con me stesso da capire tutti i miei enormi limiti. Diciamo che preferisco altre forme di espressione.

Per quanto riguarda i progetti personali, beh ovviamente si è sempre al lavoro. Non voglio rivelare troppo perché sono molto scaramantico in queste cose, ma a breve dovrebbe arrivare un progettino, una piccola chicca a cui tengo molto. Mentre in cantiere, ormai da qualche mese a dire il vero, c’è un progetto abnorme che mi fa cag**e (gli asterischi sono opera del redattore) sotto solo a pensarci. però shhhhh!

8. Prima di salutarci, di Esportsmag cosa ne pensi? Una nuova testata, la prima dedicata interamente agli esports in Italia, come la vedi?

Siete dei pazzi scatenati questa è la prima cosa che ho pensato. Un misto tra la rischiosa scommessa e la lucida follia. Tornando un po’ più seri la cosa è semplice: i media digitali legati agli esport sono un mercato che interessa a molti investitori. In tanti ci hanno provato, in tanti hanno fallito. Uno dei problemi più grossi è che quasi nessuno è riuscito a capire “cosa” vuole il pubblico e “come” lo vuole. La situazione non è ovviamente facile, ed è complicata da numerosi fattori esterni. Ad esempio si è calcolato che in America circa il 50% dei visitatori arrivi su un media esport grazie a Reddit, ma come fare allora se in italia Reddit non c’è e le community sono perlopiù su Facebook? Altre volte invece gli errori sono più grossolani e assistiamo a clamorosi tentativi di coinvolgere un pubblico “nuovo” con regole di ingaggio “vecchie”: ad esempio il classico resoconto della partita di calcio il giorno dopo sui quotidiani sportivi. Negli esport i recap dei match non funzionano! E qualcuno ci ha messo anni ad accorgersene. Ecco, quello degli esports è un settore ancora alla ricerca degli strumenti giusti per decifrare e comunicare al meglio la realtà che lo circonda. Vi auguro di essere voi i primi a risolvere questo delizioso rompicapo.