Il ministro per le politiche giovanili nel governo Draghi, Fabiana Dadone, racconta la sua esperienza di donna in politica e sottolinea il ruolo didattico dei videogiochi.

È una delle otto donne che fanno parte della squadra di governo, Fabiana Dadone. Dopo essere stata ministro della Pubblica amministrazione nel governo Conte II, poco più di un anno fa è stata nominata da Mario Draghi ministro per le Politiche giovanili. Una carica che sta portando avanti con coraggio e intraprendenza, qualità che l’hanno avvicinata ai giovani, con i quali ha sempre cercato un dialogo, anche a costo di utilizzare strumenti, e temi, ancora troppo spesso atipici per la politica, come le piattaforme social network e i videogiochi. In una lunga intervista pubblicata nel numero di marzo della rivista Gioconews in occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna (e sul sito Gioconews.it) il ministro ha parlato molto di esports. Riportiamo alcuni stralci dell’intervista dove Fabiana Dadone cita specificamente il valore del videogioco competitivo.

Ministro Dadone, lei si è contraddistinta sin dal suo insediamento per un linguaggio chiaro e comprensibile, poco “politico”, e soprattutto per la capacità di andare a incontrare i giovani nei loro ambienti. Recentemente ha sostenuto anche l’idea di far entrare i videogiochi nelle scuole, come supporto alla didattica. In quest’ottica secondo lei qual è il punto di forza di un videogame?

“I videogame ribaltano la prospettiva della didattica percepita come passiva dai ragazzi e lo fanno divertendo. Quando un ragazzo viene stimolato al ragionamento pratico, al problem solving, espande le proprie competenze e peculiarità. I videogame sono un’ottima spinta in questa direzione senza nulla togliere alla didattica nozionistica classica. Dove viene utilizzato con metodo produce risultati sorprendenti. Studiare come lavorare non dev’essere per forza faticoso ma può e dev’essere un piacere se vogliamo ottimizzare quel tempo”.

Nell’ultimo anno ha incontrato anche molti giovani che hanno fatto della passione per il videogame un’attività molto seria. Che idea si è fatta degli esports, sono un fenomeno passeggero o qualcosa che può durare nel tempo?

Credo il 2021 in Italia sia diventato l’anno zero degli esports. Ho portato il tema nelle istituzioni italiane e accelerato un confronto che deve seguire un percorso di maturità. Siamo appena all’inizio e l’Italia non deve rallentare perché parliamo di attività che possono piacere o non piacere ma trainano un settore in forte espansione economica”.

Gli esports hanno dimostrato di poter essere paritari, di andare oltre le differenze, anche quelle di genere. Pensa che abbia fatto bene il Cio, e il Coni in Italia, ad aprire la porta a quelli che loro chiamano “sport virtuali”?

“Idealmente è un’ottima cosa, un buon primo passo, concretamente credo sia un po’ datata la loro concezione quindi ritengo utile si mantenga la porta aperta e un canale di comunicazione continuo coi ragazzi altrimenti corriamo il rischio di rallentare questa evoluzione anziché accelerarla”.