Anche se in Italia il movimento degli eSports deve ancora esplodere, in molti altri Paesi il settore videoludico competitivo è già ricco di team, giocatori professionisti e manifestazioni di ogni genere –il DreamHack, di cui abbiamo già parlato, è soltanto uno dei moltissimi esempi. Mentre al Cio (Comitato olimpico internazionale) impazza la discussione sull’eventualità di inserire gli eSports nel programma olimpico, tra dirigenti che si sono mostrati aperti e chiusure (anche piuttosto ottuse) nette, per l’opinione pubblica è ancora difficile rendersi conto che un gamer professionista di successo deve fare una vita molto simile a quella di un atleta.

Mens sana in corpore sano – Uno degli argomenti più utilizzati da chi non crede che gli esport debbano far parte delle Olimpiadi è la mancanza di attività fisica. Posto che esistono tante discipline in cui il concetto di fatica fisica è relativo (curling, carabina, tiro a volo, eccetera eccetera), è tempo di sfatare il mito del videogiocatore un po’ sovrappeso e asociale che passa le giornate seduto davanti al monitor a rimpinzarsi di schifezze.
Recentemente, ad esempio, Mikolaj ‘Elazer’ Ogonowski, giocatore di StarCraft II che milita nel Team Qlash, ha dichiarato come in preparazione ad un grande evento passi molto tempo in palestra, affermando inoltre di curare l’alimentazione nei minimi dettagli. E stiamo parlando di un ragazzo classe 1997 dalla corporatura decisamente longilinea.
Questo perché StarCraft II è uno strategico in tempo reale che mette a durissima prova soprattutto riflessi e concentrazione, e che richiede un livello di preparazione tattica e strategica che si ritrova in poche altre discipline: da qui la necessità di essere al top della forma, non solo mentalmente ma anche fisicamente.

Preparazione scientifica – Tutti i principali team di esport, poi, mettono a disposizione dei propri player vere e proprie strutture polifunzionali, dove i giocatori possono riunirsi, vivere insieme, condividere le esperienze (di gioco e non solo), allenarsi quotidianamente e interfacciarsi con personale qualificato che si occupa della loro crescita – come gamer e come persone. Abbiamo già accennato alla QLASH House di Treviso, dove il Team Pro di Hearthstone passerà i cinque giorni precedenti il DreamHack Winter 2017 ad affinare i propri mazzi, in vista dell’Hearthstone Grand Prix da $25.000 di montepremi, ma di esempi ce ne sono davvero tanti.

Le Gaming House – Queste gaming house sono particolarmente importanti per i giochi di squadra, come ad esempio VainGlory, un MOBA in cui proprio il Team QLASH sta affrontando un vero campionato di livello internazionale. Lo scorso settembre, il Team QLASH è volato a Los Angeles per le finali live del Vainglory Summer Unified Championship 2017, dove ha sfidato i più forti team del panorama mondiale. Tutte realtà, queste, che hanno la possibilità di appoggiarsi a strutture importanti, con game coach e analyst che lavorano sulle skill dei giocatori e soprattutto sullo spirito di squadra, fondamentale per prevalere in titoli quali non solo VainGlory, ma anche League of Legends e Dota 2.

Non chiamateli nerd Insomma, la figura del pro gamer oggi è molto più complessa di quanto l’opinione pubblica possa pensare, almeno nel nostro Paese. Il videogiocatore professionista si allena parecchie ore al giorno, studia per migliorare, si confronta con gli avversari e i compagni di squadra. Vince, pareggia (quando è previsto), perde. Lotta, suda, cade, si rialza. A volte si arrabbia, altre volte gioisce.
Non vi sembra la stessa identica descrizione di qualsiasi sportivo tradizionale?