Il mondo dei videogiochi entra a pieno titolo tra i prodotti creativi italiani e deve fare i conti con le nuove tecnologie e i nuovi modi di giocare.

“Architettura, cinema, letteratura, musica, videogiochi, animazione, arti visive, editoria ma anche molti altri settori come ad esempio la moda e il design, esprimono quell’impasto di saperi e talenti che caratterizzano l’immagine dell’Italia nel mondo”. È quanto afferma il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, nella prefazione che accompagna la seconda edizione di Italia Creativa, Studio sull’Industria della Cultura e della Creatività in Italia.

I videogiochi stanno tra i dieci settori di Italia Creativa e nel 2015 hanno generato un valore economico di 3,4 miliardi e un tasso di crescita del +9,5 percento, con 15.200 occupati (+7,8 percento).

Opportunità, minacce e prospettive – Negli ultimi anni il mondo videoludico ha visto lo sviluppo di due grandi filoni relativi alla fruizione di contenuti videoludici in modalità spettatrice da parte degli utenti: la diffusione dei video di gioco (video gameplay) e degli eSports. I suddetti filoni si differenziano significativamente tra loro per attuale livello di diffusione ed influenza sull’andamento economico del comparto nel nostro Paese.
Con riferimento agli eSports, seppure la loro diffusione abbia avuto una crescita tale da legittimare nel 2014 il riconoscimento da parte del Coni dell’associazione ‘Giochi Sportivi Elettronici‘, si può dire che ad oggi il fenomeno sia ancora percepito come ‘add on’ a eventi, manifestazioni o fiere in ambito gaming, e non come evento a sé dotato di una propria audience autonoma significativa. Senza considerare le aree in cui il fenomeno e-sports ha maggiore radicamento storico come la Corea o gli Usa (nei quali diversi studi di mercato considerano il potenziale futuro del settore quasi al pari di quello di alcuni sport a rilevanza nazionale), i numeri di audience generati ad oggi in Italia sono significativamente inferiori a quelli di altri Paesi europei come la Francia o la Germania.
Servono infrastrutture – Analogamente a quanto visto per l’ambito digitale, i fattori abilitanti la crescita degli eSports nel Paese sono la qualità delle infrastrutture tecnologiche di connessione Internet e l’interesse da parte della popolazione. Con riferimento a quest’ultimo, gli attori coinvolti sono ottimistici per il futuro. Tale ottimismo e tale volontà di dare una struttura stabile al mercato sono dimostrati, ad esempio, dalla creazione di un soggetto dedicato come la ‘Lega ESport’, nata dall’aggregazione di diversi team di gamer a livello competitivo, che nella propria mission si pone come obiettivi di: regolamentare i rapporti tra i diversi team e tra team e atleti; regolamentare community di riferimento e l’organizzazione di eventi e tornei; garantire la sportività e correttezza delle competizioni.
Esports, un settore che attira – Il filone degli eSports è ritenuto molto interessante dai soggetti gestori delle proprietà intellettuali dei titoli oggetto di competizione, dal momento che ad un costo marginale relativamente basso può generare delle linee di ricavo addizionali significative (principalmente tramite advertising pubblicitario) senza generalmente portare a mancate vendite dei titoli stessi nelle modalità e canali tradizionali.
Gameplay: tra Youtube e Twitch – Con riferimento invece all’ambito dei video di gameplay, la loro diffusione ha ormai raggiunto un elevato livello di maturità anche in Italia, principalmente grazie alle piattaforme di caricamento video di Youtube e Twitch. Considerando ad esempio Youtube, l’importanza del fenomeno gaming è evidente anche solo dal fatto che tra i primi 10 canali italiani ad audience principalmente nazionale (i cui iscritti sono compresi tra gli 1 ed i 3 milioni a canale) la maggior parte sono relativi a utenti (c.d. youtubers) che fanno dei gameplay un ambito di interesse primario. La loro rilevanza e capacità di influenzare i gusti del pubblico è inoltre riconosciuta sempre più dagli attori del settore ed in particolare dagli editori, che in certi casi hanno proceduto anche a remunerarli in qualità di portavoce e testimonial dei loro titoli.
Sviluppatori e editori a bocca asciutta – Se a livello di awareness i video gameplay e gli e-sports hanno un impatto simile, e hanno avuto e stanno continuando ad avere una connotazione indubbiamente positiva, supportando l’incremento della diffusione del media videoludico nel nostro Paese, tra le due forme di comunicazione vi sono però due differenze importanti a livello di impatto sull’indotto del comparto: i video gameplay possono generare in maniera più significativa situazioni in cui si palesa il c.d. ‘value gap’, vale a dire il divario, oggi particolarmente significativo, fra il valore generato in rete dai contenuti culturali e creativi e la remunerazione dei soggetti che detengono la paternità di quei contenuti. Prendendo ad esempio un video di gameplay caricato su una piattaforma, l’utente iscritto realizza una monetizzazione del contenuto in revenue sharing con il proprietario della piattaforma al momento della fruizione da parte dei clienti finali, ma senza generare alcun corrispettivo per lo sviluppatore e/o editore del titolo.
Una regolamentazione da ripensare – Il quadro regolatorio su questo tema, che in realtà è di carattere internazionale e travalica l’Italia, non è ancora chiaramente delineato; la scelta della maggior parte degli editori è stata quindi di permettere il caricamento di video di questo tipo richiedendo la rimozione soltanto in casi di infrangimento di determinate linee guida (tipicamente auto-determinate dai singoli editori stessi). Il tema è però sentito dagli editori, dal momento che si segnalano da diverse parti dei tentativi di creare dei meccanismi di condivisione dei ricavi tra piattaforme, utenti creatori di contenuto gaming e detentori della proprietà intellettuale originale.
La reazione degli editori – Tali iniziative si sono tradotte in alcuni casi in forme più vicine alla creazione di video semi-promozionali dei titoli (es. programma Ronku di Electronic Arts) ed in altri alla concessione agli utenti delle proprietà intellettuali in modo analogo ad una licenza (es. Nintendo Creators Program); l’effetto dei video gameplay sulla popolarità di un titolo può essere maggiormente ambivalente rispetto a quello degli e-sports. Se questi ultimi hanno un effetto tipicamente di amplificazione di popolarità, i video gameplay al contrario, su taluni titoli a maggiore contenuto narrativo e minore di gameplay competitivo, possono in certi casi fungere quasi da dissuasori all’acquisto, nel momento in cui svelano agli spettatori la storia di gioco, privando l’esperienza ludica di una componente significativa incentivante l’acquisto. Nelle casistiche di assenza dell’effettivo atto di acquisto, i video gameplay stanno comunque portando ad una sempre maggiore awareness anche per queste tipologie di titoli maggiormente votati alla componente narrativa.
I trend futuri – Oltre agli ambiti videoludici più noti, destinati ai consumatori finali, esistono un’altra serie di aree in cui possono trovare applicazione le competenze sviluppate dagli operatori del comparto dei giochi ‘tradizionali’ per console, Pc/Mac e mobile/tablet. Si tratta ad oggi di aree di nicchia o emergenti, ma che potrebbero rappresentare una forte opportunità in futuro.
Realtà Virtuale – La novità dirompente è l’arrivo del Vr sul Mass Market, non solo su Pc con i due dispositivi di fascia ‘premium’ come l’HTC Vive e l’Oculus Rift. Il vero punto di svolta potenziale agli occhi del pubblico e degli operatori di settore è previsto, infatti, con l’arrivo dello stesso anche sul mercato console (a partire da ottobre 2016, con il lancio del casco di realtà virtuale di Sony Playstation). Non è la prima volta che il mondo videoludico tenta di approcciare il mondo del Vr, ma la percezione da parte degli attori del comparto è che questa sia ‘la volta buona’ in virtù del prezzo al pubblico maggiormente accessibile rispetto ai precedenti tentativi (in cui i device di Vr erano di fatto più prototipi che prodotti mass market). Gli studi di sviluppo italiani si stanno attrezzando in questo senso, come evidenziato dal fatto che diversi degli oltre 50 associati Aesvi abbiano uno o più titoli in sviluppo facenti uso della tecnologia Vr.
Le altre nicchie che esulano da quello che è il B2C classico, sono riconducibili principalmente ai seguenti ambiti di B2B: della gamification, che si sostanzia nell’applicazione in ambiti non videloudici di logiche appartenenti al mondo videoludico, come possono essere ad esempio l’utilizzo di app a supporto delle attività di customer service e marketing (es. assegnazione di punti virtuali per “comportamenti virtuosi” quali la richiesta di effettuazione della domiciliazione bancaria) o delle attività di formazione ed incremento della produttività aziendale (es. nei processi di on-boarding dei nuovi assunti). In questo mercato gli acquirenti tipicamente sono le aziende, mentre i soggetti venditori sono una serie frammentata di piccole realtà locali che spesso utilizzano questo tipo di commesse come linee di ricavo continuative che possono andare a finanziare iniziative di sviluppo anche in ambito videoludico (i cui ricavi, al netto di eventuali importi da pre-order, sono tipicamente percepiti dopo il momento di lancio dei titoli); del serious gaming e dell’edutainment, vale a dire quei videogiochi che hanno uno scopo educativo importante se non preponderante rispetto a quello di intrattenimento.
Altre applicazioni – Negli ultimi anni in Italia sono stati sviluppati titoli di questo genere su temi estremamente diversi, come ad esempio l’effettuazione di massaggi cardiaci (Relive di Studio Evil) e la Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale (Venti Mesi di We Are Muesli) o la comprensione della generazione di particelle subatomiche (Creative Collision di Digital Tales al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci). È interessante notare come i destinatari di questi titoli possano essere di volta in volta differenti a seconda del tema specifico, e quindi si potrebbero identificare mercati potenziali tra loro molto diversi quali i bambini, le scuole, la sanità, gli ospedali e gli enti di formazione B2B dedicati a professionalità specifiche; dell’architecture visualization e delle esperienze ‘immersive’ abilitate dalla tecnologia Vr e da visori quali l’Oculus Rift, che in Italia possono rappresentare una forte opportunità su vari ambiti quali ad esempio gli studi di architettura, il retail (es. esperienze di shopping in Vr come ‘Shelfzone’ sviluppato dall’italiana Inversion) o la valorizzazione del patrimonio artistico nazionale (es. applicazioni museali come ad esempio la Toti Submarine Vr Experience al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano).
Non solo videogame – Con riferimento ai filoni B2B sopra identificati, il censimento Aesvi di fine 2014 ha rilevato che oltre la metà degli studi di sviluppo rispondenti (61 percento) affianca altre attività alla produzione di titoli. Nello specifico, è emerso che, considerando il 100 percento della produzione esterna al settore videoludico: il 30 percento si concentra su attività di marketing e comunicazione; il 30 percento su attività di formazione; il restante 40 percento su altre attività.
Interessi pubblici e privati indirizzano programmazione e mercato – Oltre alla necessità di diversificare le fonti di finanziamento, l’impegno degli sviluppatori in progetti diversi dal game development, deriva dall’interesse sempre maggiore che il settore suscita anche al di fuori dell’industria videoludica, sia per istituzioni pubbliche (es. utilizzando l’approccio ludico all’apprendimento e al lavoro per migliorare la propria capacità di attrarre e intrattenere il pubblico) che per aziende private (es. per la possibilità di migliorare la qualità del lavoro dei dipendenti).