Il campione torna a competere in Europa. Passato e futuro dello stallone italiano di League of Legends.

Dopo due anni in Lcs e uno split lontano dalle competizioni, Daniele “Jiizuke” Di Mauro è tornato in Europa per competere nella Superliga spagnola. Il team ha detto di essere molto felice del ritorno di Jiizuke nel loro roster, sottolineando come i cambiamenti importanti apportati alla squadra siano mirati a fortificare il team per vincere l’Eu Masters.

Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con Jiizuke del suo ritorno nel panorama competitivo di League of Legends, cosa significa per lui e come vede il suo futuro.

Cosa provi nel tornare a competere, ed in particolare in Europa?
“Sono tornato sì in Europa, ma in realtà sono in Spagna. Questo inizio anno e l’off season dell’anno scorso è stato tutto quanto un po’ strano e inaspettato. Devo dire che entrando nell’off season ho pensato che quella fosse la mia prima volta in cui entravo in un off season senza contratto e mi sono detto ‘sento che succederà qualcosa di bello’. Non ho avuto una carriera lunga alla fine, ma ho avuto un contratto con Vitality e nel primo anno ho giocato bene ed ero sotto contratto, quindi non potevo cambiare Team neanche se volevo alla fine dell’anno, e poi il secondo anno abbiamo giocato un po’ tutti quanti male e quando siamo andati in off Season 3-4 persone pensavano di rimanere in Vitality ma poi io mi sono buttato così nel nel mercato ed era la prima volta in realtà perché anche da Giants a Vitality quando abbiamo vinto le Challenger Series il mio acquisto era uno scambio. Ma era un trade di un blocco unico di quattro player, quindi alla fine ho seguito i miei compagni di squadra, ho scelto così perché volevo giocare con loro. Ho solo avuto due esperienze di off season, una in cui non è che non ero confident, ma solo non pensavo di dover andare nel mercato nel 2019, e poi questa del 2021 in cui mi sono detto ‘non c’è nessun modo per cui non abbia un buon team per il prossimo anno’ e poi è successo quel che è successo. Ma sì, comunque sono tornato in Europa, in Spagna e.. Come mi sento? Strano da dire, pensavo che un giorno, non ora, mi sarei ritirato in Spagna, tipo fra qualche anno, e avrei fatto uno split come a dire torno dove tutto è iniziato una volta. Però è successo così e vediamo che succede. Darò il meglio quest’anno e spero di avere altre opportunità per ritornare in Lec e Lcs”.

Credi che questo split sia per te un trampolino per tornare in Lec?
“Sì sì, ovviamente per me così. Non è per essere rude ma sento di poter ancora qualcosa in Lec: so qual è il mio livello e qual è il livello dei miei avversari nella lega, so a che livello aspiro e a che livello credo di essere ed è molto diverso da ora”.

In un’ intervista su EsportsMag avevi detto che “con il talento ed il duro lavoro tutti quanti ce la possono fare”. La tua pausa dal competitivo è stata anche per “lavorare duro” e quindi arrivare più in alto in più in questo 2022?
“La pausa di questo Spring Split non era pianificata, non me l’aspettavo, ci sono stati vari problemi in off season. Credo che una delle prime cose che ho detto quando è finito lo Split è stato: ‘voglio giocare un altro split con Impact’. Non mi aspettavo di tornare sul mercato, ma ero fiducioso, fino a quando ho saputo che gli Eg volevano andare con Jojopyun per fare un roster full-americano, o quel che era. Pensavo davvero di rimanere a giocare negli Eg perché avevo un buon rapporto con Impact, ma alla fine non è andata così. All’inizio dell’offseason sembravano poterci essere molte opportunità ma alla fine sono successi diversi problemi causati dai vari mid laner. In breve, Bjergsen ha bloccato il mercato in america, e Perkz voleva tornare in Europa, bloccando contestualmente il mercato europeo. Dopo che loro hanno deciso dove andare, le altre org hanno deciso chi prendere come midlaner nel giro di due giorni. C’erano molte cose che dovevano andare diversamente, ma alla fine siamo giunti a questo risultato”.

Quindi dietro le scene i team si affidano molto a quello che vogliono i player o l’organizzazione ha più potere decisionale riguardo al roster?
“Dipende da quale team, se alcuni team hanno player chiave magari si affidano a loro la maggior parte delle volte, anche se è sbagliato. I General manager prendono la maggior parte delle decisioni, almeno nei team in cui sono stato io”.

Cosa porti con te come player e come giocatore dall’America tornando qui in Europa, in Spagna?
“Secondo me ogni anno che giochi impari molte cose sia riguardo te stesso che riguardo i team. Cosa fare meglio e come prepararti meglio sia fuori dal gioco che dentro il gioco. È divertente ripensarci, perché in ogni team in cui ho giocato la persona da cui ho imparato di più è stato sempre il top laner. Cabochard. Impact, Ruin ruin l’anno prima nei Giants. Quello che ho imparato di più da Impact è stato trovare un punto di mezzo per giocare tra la follia e la solidità. Posso fare quello che voglio finché siamo pari in partita, quindi ci serve un vantaggio. Poi quando abbiamo un vantaggio magari occorre non prendere troppi rischi, ma anzi bisogna cercare di giocare più conservativi, approfittando degli errori avversari ma senza mai strafare. Credo che questa sia la cosa primaria che ho imparato da Impact”.

Parlando del passaggio da Lcs a Erl, come mai hai scelto proprio i Giants? Hai detto che saresti tornato alle origini più in là nel tuo futuro, questa decisione quindi è stata una necessità o una scelta?
“Stavo aspettando l’estate per vedere se c’era qualche posto per me in Lec e Lcs, ma era un long-shot ed è andata come è andata alla fine. Dovevo decidere se farmi un anno sabbatico o giocare, e a me piace giocare, quindi sono andato nei Giants. Voglio solo divertirmi e fare highlight reels, è noioso per una persona come me non fare nulla. Mi piace League of Legends così tanto che non riesco a essere in ferie, credo che una persona normale probabilmente avrebbe preso un anno sabbatico perché la mia ultima performance era buona, quindi forse avrei potuto trovare qualcosa il prossimo anno, ma voglio giocare. E ho scelto i Giants perché è una delle poche organizzazioni con cui ho iniziato e so cosa aspettarmi da loro”.

I Giants hanno detto che sei un player molto amato da loro e dalla loro fanbase, e sono molto felici del tuo ritorno. Ricambi questo sentimento?
“Ovviamente. Per me sia Giants, sia Vitality sia EG sono tutte organizzazioni a cui mi unirei di nuovo senza pensarci troppo”.

Parlando di giocatori europei, in particolare giocatori italiani, perché secondo te non abbiamo tanti giocatori dall’Italia nella scena internazionale? Credi sia dovuto alla cultura e alla società nel nostro paese?
“Purtroppo le differenze tra una famiglia italiana e una che vive in Corea o in Danimarca sono abissali. Potrei sbagliarmi ma credo che la storia di Bjergsen sia proprio che lui andando a scuola veniva bullizzato, ed un giorno non ha voluto più andare ed ha chiesto semplicemente ai suoi genitori se poteva rimanere a casa a giocare. I suoi genitori sapevano che era bravo in quel che faceva e un giorno lui gli ha chiesto se poteva diventare un pro player e loro lo hanno accettato tranquillamente. Provare a proporre una cosa del genere in Italia è utopistico: ci possiamo solo aspettare che i genitori dicono ai figli di andare a lavorare. In Corea la situazione è ancora più futuristica che in Danimarca, hanno università specifiche per i videogiochi, l’esports è conosciuto. E continuando a parlare di esports in italia mi ricordo che Mowgli mi ha detto che quando andava a scuola lui non dormiva la notte ma dormiva a scuola ed i suoi amici lo difendevano dicendo che bisognava lasciarlo riposare perché ‘lui era Challenger’. Chissà cosa dicevano di Faker a scuola, ma credo che se eri Challenger o quant’altro in Corea eri qualcuno. Io della mia scuola mi ricordo solo che dovevo convincere tantissime persone che quello che facevo aveva un futuro. Andavo agli incontri tra professori e genitori in cui mia madre raccontava che passavo ore davanti al pc, ed i professori poi lo dicevano davanti alla classe e io dovevo convincere 25-30 persone che non sapevano nulla di esport ma pensavano solo a cose di vita normale. Ed i discorsi che ne uscivano erano assurdi, io facevo vedere ai miei compagni i video e gli articoli ed i numeri che gli esport facevano e nonostante ciò non mi credevano. In Corea è completamente diverso, sin dalla scuola i ragazzi scelgono cosa vogliono fare e devono impegnarsi sul serio per ottenere i risultati oppure sono considerati dei falliti. Forse questa mentalità si può trovare un po’ ovunque, ma lì questo pensiero è portato all’estremo. Il tasso di suicidi tra giovani è altissimo, sia lì che in Giappone, e quindi o si raggiunge il proprio obiettivo o si è nulla. E anche negli Esports tutti danno il 100% tutto il tempo, e anche le loro famiglie sanno che c’è una reale possibilità di lavoro in futuro nonostante il percorso sia difficile. Ma qui in Italia questa discussione non è neanche possibile averla con la propria famiglia. Io stesso ci ho provato con la mia famiglia ma è troppo difficile parlare di una cosa del genere. E questo è colpa della mentalità di repulsione verso il cambiamento che abbiamo in Italia”.

Gli esport stanno crescendo, anche nel nostro paese, durante i tuoi anni di carriera hai notato questo cambiamento in Italia oppure no?
“Non posso esprimere un’opinione perché non sono in Italia spesso, ma per me il caso è un po’ estremo. È sempre strano raccontare la mia storia, ma nel 2016 ho lasciato casa per seguire questa carriera, e nulla è stato più come prima. Non mi sono mai riconciliato con la mia famiglia, soprattutto con mio padre, anche ora non parlo con lui, sono passati anni, e con lui l’argomento è chiuso. Con mio fratello sono rimasto in contatto, anche lui voleva diventare un pro player ma ha quattro anni in più di me, e già io ho iniziato tardi questo percorso, ma lui avrebbe dovuto iniziare immediatamente, e poi sono successe varie cose a causa della cultura e della famiglia che abbiamo in Italia. Con mia mamma ci parlo, ma allo stesso tempo credo che finché non comprerò una casa mia non posso chiamare ‘casa’ nient’altro. Dal momento in cui ho lasciato quella casa nel 2016 per fare quel che volevo fare, in quel momento è cambiato tutto nella mia vita. Se non potevo fare quello che volevo fare a casa, allora non potevo e non posso chiamare nessun luogo casa finché non ne ho una mia. Purtroppo questa è la realtà per me”.

Parlando del futuro, che cosa si possono aspettare i tuoi fan da questa nuova stagione?
“Possono aspettarsi quel che io mi aspetto da me stesso, ovvero vedere delle partite in cui Jiizuke fa quel che farebbe Jiizuke. Voglio davvero soltanto giocare, divertirmi e giocare per i fan. Credo che la cosa più importante nel mio viaggio è ‘making memories’, che non è traducibile in italiano. Non è solamente ‘farsi dei ricordi’, è qualcosa di più, ha un significato diverso e più importante. Ma sì, questa è la cosa più importante per me. In futuro, quando sarò più anziano, a 40 o 50 anni voglio ricordare questi momenti, voglio ricordarmi esperienze che ho fatto. Quest’anno ho già perso metà del tempo a mia disposizione, perciò credo che dovrò giocare sempre bene, altrimenti non riuscirò a lasciare abbastanza ricordi di me”.