Fortnite: gli Esports tornano dal vivo con un torneo FNCS

I server che ospitano Fortnite non sono più accessibili dalla Cina: Epic Game ha detto stop dopo le nuove leggi cinesi.

Un po’ la volontà cinese di avere il controllo su tutto il proprio mercato, un po’ l’imbarazzo di Epic Games nel non avere sostanzialmente la possibilità di monetizzare al massimo i potenziali introiti provenienti dalla Cina: il risultato alla fine è che Fortnite non è più accessibile in Cina. Il popolare videogioco di Epic, nonostante una quota di minoranza sia posseduta dal colosso cinese Tencent, ha deciso sostanzialmente di chiudere i battenti rendendo di fatto inaccessibili i server agli utenti di Pechino.

In realtà Fortnite non è mai stato presente in modo ufficiale in Cina: le autorità, che controllano la commercializzazione anche dei videogiochi, non ne avevano mai avallato la presenza ed era disponibile in una versione, per così dire, ridotta sotto il nome di Fortress Night che ne richiamava almeno il nome originale per assonanza. Alcune skin erano vietate, altre modificate ma l’ostacolo più grande era il divieto dell’utilizzo delle microtransazioni, ovvero la possibilità di fare acquisti in-game, considerate pericolose per gli utenti. Al tempo stesso però la principale fonte di introiti per Epic Games nel resto del mondo: a maggio 2021 il reporter Nick Stat su Protocol aveva rivelato che l’azienda aveva guadagnato 50 milioni di dollari con una sola linea di skin, quella dedicata all’NFL, il campionato di football nordamericano, vendendo 3,3 milioni di skin tra novembre e dicembre 2020 al prezzo di 1.500 V-bucks l’una.

Diventa così chiaro che il motivo che ha portato Epic Games a lasciare la Cina è il controllo che il governo della Repubblica Popolare detiene sul mercato, controllo incrementato soprattutto nel settore digitale dopo la stretta impartita alcune settimane fa con l’introduzione di nuove linee guida sull’utilizzo dei videogiochi. Si tratta in particolare di restrizioni per i minori di 18 anni ai quali da settembre è vietato videogiocare (online almeno) per più di tre ore alla settimana e solamente tra le 20:00 e 21:00 dei weekend o nei giorni festivi. Una stretta che ha avuto conseguenza anche sulla scena competitiva di un esports popolare come League of Legends, dimostrato dai festeggiamenti per strade e sui balconi dei tifosi cinesi dopo la vittoria degli EDG, squadra di Pechino, al mondiale di League of Legends, di cui vi abbiamo parlato qui. Le squadre del campionato cinese hanno infatti “rilasciato”, di fatto licenziato, tutti i loro giocatori minorenni, in attesa di ottenere, sperano, una deroga per coloro che giocano a livello professionistico.

Tuttavia la crociata del partito comunista verso la dipendenza dai videogiochi nasconde in realtà una stretta sui controlli del mercato digitale e, in particolare, sulla libertà in rete. Dall’1 novembre, infatti, anche Yahoo ha annunciato il proprio ritiro dal suolo digitale cinese, spegnendo i propri server presenti nell’area geografica di Pechino. E non è l’unica: nelle settimane precedenti anche LinkedIn e Microsoft avevano annunciato una progressiva diminuzione delle proprie operazioni in nome della richiesta di un internet libero e inclusivo, garanti dei diritti degli utenti. Ad alimentare le difficoltà ci sono poi i rapporti non proprio idilliaci, a livello commerciale e non solo, tra gli Stati Uniti, dove operano la maggior parte delle aziende high-tech, e la Cina, un mercato dall’enorme popolazione che fa gola a molti ma che il governo comunista vuole controllare interamente.