Day 2 at 2018 NA LCS Summer Split Finals in Oakland, California, USA on 9 September 2018.

Alienware sarebbe pronta a terminare in anticipo di dieci mesi l’accordo di sponsorizzazione globale con League of Legends dopo le accuse di molestie sessuali mosse contro il Ceo di Riot Games.

Iniziano a costare caro le accuse di molestie sessuali mosse contro il Ceo di Riot Games Nicolo Laurent. A raccontarlo è Jacob Wolf su Dot Esports che ha rivelato come Alienware, uno dei principali sponsor di League of Legends per le competizioni di livello globale, sarebbe intenzionata a interrompere con dieci mesi di anticipo la partnership con Riot Games. Nessuna apparizione al Mid-Season Invitational, ai Worlds, all’All-Star, né qualsiasi altra competizione, per i prodotti dell’azienda di Miami. 

A pesare sulla decisione sarebbe la preoccupazione mostrata da Alienware a Riot Games riguardo l’immagine pubblica del gioco dopo l’ennesima accusa di molestie sessuali all’interno dell’azienda produttrice di League of Legends, Valorant e non solo. Questa volta, poi, mosse contro il Ceo Nicolo Laurent. Già durante lo scorso weekend Riot Games aveva rimosso ogni riferimento ad Alienware dalle dirette delle varie leghe competitive: LCS, LEC, LCK e LPL sono rimaste orfane degli annunci pubblicitari dedicati.

Alienware è stato un partner decisamente di valore per noi sin da gennaio 2019. Non possiamo al momento commentare i nostri accordi per motivi di riservatezza ma, mentre continuiamo a discutere con loro, abbiamo rimosso ogni riferimento al brand nei nostri broadcast”, ha dichiarato Riot Games in una dichiarazione rilasciata a Dot Esports.

L’immagine pubblica, sotto il profilo prettamente aziendale, di Riot Games ha iniziato a incrinarsi ad agosto 2018 dopo l’articolo apparso su Kotaku in cui si raccoglievano diverse accuse di sessismo e molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Riot Games all’epoca non aveva potuto far altro che scusarsi pubblicamente e annunciare un piano di rinnovamento, inteso come “trasformazione culturale”, per usare le loro stesse parole, di 16 mesi. Nonostante gli sforzi costanti di Riot Games sono apparse sempre più accuse da parte di altre persone coinvolte. 

Inizialmente a pagarne le prime conseguenze era stato Scott Gelb, accusato dalla stessa azienda di condotta inappropriata, incluso il “colpire i genitali maschili dei propri dipendenti per scherzo”. In una dichiarazione apposita Riot aveva annunciato la sospensione temporanea di Gelb, lasciandolo senza stipendio e inserendolo in un programma di recupero prima di tornare all’interno dell’azienda. A marzo 2021, tuttavia, Gelb veste ancora il ruolo di Coo di Riot Games. 

Oggi le accuse principali sono invece mosse contro il Ceo di Riot Games, Nicolo Laurent, dall’ex-assistente esecutivo Sharon O’Donnell. La donna ha citato Riot e Laurent a gennaio in California, accusando il Ceo di commenti sessisti, tra cui l’allusione che “le dipendenti donne dovrebbero avere dei figli per evitare lo stress durante la pandemia da Covid-19”. Non solo: Laurent avrebbe anche invitato O’Donnell a dei viaggi non legati al lavoro. Al suo rifiuto, Laurent avrebbe deciso di licenziare senza giusta causa la donna a luglio 2020 dopo che la stessa aveva riportato i fatti sovraesposti al reparto risorse umane dell’azienda. 

Nonostante Riot abbia esplicitamente negato che il licenziamento di O’Donnell sia legato a tali fatti, aggiungendo che molti altri dipendenti si siano lamentanti a livello professionale della donna, l’azienda ha comunque aperto un’indagine interna indipendente sui comportamenti di Laurent. “Il nostro obiettio è fornire ai Rioter estrema fiducia nei nostri comportamenti. La trasformazione culturale che abbiamo intrapreso include anche prendere seriamente qualsiasi accusa di molestia o discriminazione, attraverso azioni di investigazione interna verso chiunque abbia violato le nostre policy”, aveva dichirato Joe Hixson sul Daily Esports. “Il nostro Ceo per primo si è reso disponibile e cooperativo per far luce nel processo investigativo a suo carico: non lasceremo nulla al caso.

YouTube player

Nel 2020 Riot Games fece un ulteriore passo falso nell’annunciare la collaborazione con Neom, società detenuta dal fondo sovrano di proprietà dei governanti dell’Arabia Saudita. L’intero gruppo di caster di Riot Games, in particolare della LEC europea, aveva sollevato più di una criticità, minacciando persino uno sciopero di massa. Le motivazioni vanno rintracciate in tre aspetti particolari: il primo riguarda il contrasto tra gli intenti benevoli di supporto di Riot Games alla community LGBTQ+ e l’accordo con un’azienda dell’Arabia Saudita, paese in cui è prevista la pena di morte per l’omosessualità; il secondo tema affronta la questione dell’ubicazione di Neom, città futuristica che andrebbe però a occupare la terra natale delle tribù Huwaitat, non proprio cortesemente invitate a lasciare spazio; infine il tutto si inserisce anche nella narrativa dell’omicidio Khashoggi, secondo quanto riportato dal Washington Post ucciso nell’ambasciata saudita a Istanbul da un commando agli ordini diretti del principe ereditario della corona dell’Arabia Saudita. Una serie di incongruenze che aveva portato Riot Games ad annunciare la fine della partnership dopo appena 14 ore dal suo inizio

Scelte decisamente infelici quelle dell’azienda, costretta nell’ultimo anno a destreggiarsi tra accuse varie, assolutamente non compensate dallo spettacolo e dalle emozioni che titoli come League of Legends o Valorant riescono a regalare. Tuttavia prima di confermare ogni singola accusa è doveroso attendere in modo da avere un quadro completo.

La vicenda si sta evolvendo ora dopo ora: in caso di aggiornamenti provvederemo a farvelo sapere.