La scorsa settimana si è chiusa con la notizia dell’ingaggio della 13enne Soleil Wheeler da parte del team FaZe Clan. Ok, ingaggi di nuovi giocatori avvengono normalmente, ogni settimana, nel mondo. Già, ma questo passaggio è da sottolineare per una questione, anzi, per più questioni: Soleil Wheeler, che nella sua dimensione digitale si fa chiamare “Ewok”, è una ragazza (la prima donna ingaggiata dai FaZe) ed ha una disabilità uditiva.

E’ una brava giocatrice e famosa streamer di Fortnite, che giusto qualche settimana fa ha anche avuto modo di partecipare al ProAm di Fortnite, giocando in coppia con il cantante Jordan Fisher e ottenendo anche un discreto piazzamento.

Questo per evitare banalizzazioni: Soleil “Ewok” Wheller è davvero in gamba, a Fortnite, non sarebbe arrivata a giocare in uno dei team più forti del mondo, se non lo fosse stata. Non è quel player che sposta gli equilibri e allora magari viene da chiedersi: è giusto che faccia notizia solo per la sua disabilità? Perché, diciamocelo, se si fosse trattato di un player normodotato probabilmente i media le avrebbero dedicato, nel migliore dei casi, un trafiletto.

C’è solo buonismo, o perbenismo, dunque, dietro alla storia di “Ewok”? Assolutamente no. La storia di questa ragazza porta con sé un messaggio importante, che fa bene agli esports e, in generale, fa bene a tutti. Soleil ha commentato sul suo profilo Twitter invitando a non abbandonare i propri sogni, e confermando che “una disabilità non ci ferma”.

Nella storia di Soleil, come in ogni bella storia, ci ha sicuramente messo lo zampino anche la fortuna (l’incontro, in rete, con lo streamer Timothy “TimTheTatman“), ma sarebbe ingiusto relegare tutto a questo aspetto. E’ una storia esemplare perché mette in luce quella sottile sfumatura che rende gli esports speciali: gli esports (e in generale quasi tutti i videogame) appianano le differenze. Pochissime altre competizioni possono contare su questi elementi.

Il computer, la macchina che fa da medium, consente di superare anche difficoltà che sembrerebbero invalicabili. E oltre alla macchina c’è poi il titolo, che quando è pensato dai programmatori anche per l’utilizzo da parte di persone con qualche problema, realizza cose spettacolari: Fortnite, ad esempio, è stato realizzato con un “traduttore dei suoni” interno, di fatto chi non sente può “vedere” i suoni e giocare alla pari. Un’accortezza che fa onore a Epic Games.

Le differenze restano, restiamo uomini e donne, normodotati e disabili, ma in una competizione videoludica questo non fa alcuna influenza (tranne per pochi minus habens). E’ un aspetto affascinante, paritario, inclusivo, che spesso passa in secondo piano. Poi, ovvio, non tutti hanno la qualità di “Ewok” e non tutti possono aspirare ai FaZe, e non tutti hanno l’energia che c’è dietro al suo sorriso, ma che importa: “keep chasing your dreams, disabilities doesn’t stop us”.