Esports: quando Freud e Jung affiancano il pro player

L’aspetto mentale nel videogioco è fondamentale perché il videogioco è un gioco mentale. Un’affermazione semplice, lapalissiana, che tuttavia spesso sfugge o viene sottovalutata, anche a qualche addetto ai lavori. L’importanza della psiche aumenta moltissimo, in misura difficile da definire, e si espande quando il videogioco si fa competitivo. È qui che l’aiuto di un professionista si fa fondamentale.

Associare psicologia e videogioco non deve fare pensare, infatti, che l’unico problema da risolvere sia la dipendenza. Tutt’altro! Quando si arriva a livello competitivo la dipendenza è l’ultimo dei problemi. Si arriva al punto che per chi la sta vivendo, a livello mentale, non c’è quasi alcuna differenza tra una competizione sportiva e una competizione videoludica. È su queste premesse che l’Associazione italiana Psicologia dello Sport e dell’Esercizio ha organizzato, qualche giorno fa a Milano, l’incontro dal titolo “La Psicologia degli eSports tra opportunità e nuovi scenari”. Un incontro che, al di là dei contenuti, è importante per vari motivi.

Prima di tutto per la location. L’evento è stato ospitato nella sede del Comitato Regionale lombardo del Coni. E già questo sarebbe di per sé una notizia, pensando alla querelle ancora in corso dentro e fuori dal Comitato olimpico, per il riconoscimento ufficiale degli esports come discipline paragonabili a quelle sportive. Sia chiaro, si è trattato solo di una sala “prestata” un sabato mattina, ma come non vedere, in questo, un’apertura, magari parziale, da parte del Coni. Anche perché il dibattito, tra le istituzioni, nel frattempo  prosegue, come ha confermato Angelo Cito, presidente della Fita, l’Associazione italiana Taekwondo (che del Coni fa parte), ospite dell’evento, auspicando una nuova apertura olimpica (ormai per Los Angeles 2028).

Ma l’incontro è stato importante anche per alcuni spunti di approfondimento lanciati dai relatori. Ivan “Rampage in the Box” Grieco (a destra nella foto sottostante), caster professionista, fondatore dell’Associazione italia caster assieme a Simone “Akira” Trimarchi, ha spiegato l’importanza della voce narrante per creare atmosfera, spettacolo ma anche per illustrare e fare una sorta di storytelling; perché in fondo gli esports, come molte altre forme di spettacolo sono immedesimazione. Da qui la spiegazione di tanto successo, anche su social come Youtube e Twitch.

Un aspetto confermato anche da Filippo “Pedriny” Pedrini (a sinistra nella foto qui sopra), il famoso esports maestro, che ha poi sottolineato una realtà che era sotto gli occhi di tutti eppure spesso non viene vista: “parliamo di esports come se fosse una cosa sola, guardiamo con il cannocchiale un fenomeno che invece andrebbe analizzato al microscopio, unico strumento che davvero farebbe emergere le tantissime componenti diverse di questo mondo complesso che chiamiamo esports”. Ecco il punto d’incontro con la psicologia. La psicologia non solo si chiede cosa sia il mondo esports (ed erano davvero tanti gli psicologi presenti), ma vuole mettersi in gioco, aiutare ad individuare i problemi e proporre soluzioni.

Dal punto di vista psicologico sport e esports sono sullo stesso piano – ha spiegato Mauro Lucchetta (nella foto qui sotto), psicologo dello sports, già consulente di alcuni team esports e di alcuni pro player, tra gli organizzatori dell’evento -. L’importante è tenere sempre a mente che la figura fondamentale, nell’esports, è il player; il nostro obiettivo (ha spiegato ai colleghi presenti) è quello di rendere, con un lavoro che deve essere necessariamente di rete con gli altri professionisti in gioco, il player più performante”.

Ed è questo l’ultimo aspetto da sottolineare di questo incontro targato Aips, che stando ai rumors potrebbe diventare un percorso di formazione per i nuovi professionisti del domani (mental coach, psicologi esportivi…), ossia la proposta/richiesta, di una rivoluzione copernicana che non metta più davanti il team, che non metta più davanti i risultati, ma che renda il player il primo soggetto d’attenzione. Un cambio di prospettiva che, allontanando i pericoli di tilt e burn out, e migliorando skill mentali e percettive individuali, può riscrivere il destino di una intera organizzazione.

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