Campione del mondo con la nazionale di calcio nel 2006, giocatore di tanti team importanti tra i quali la Roma, Milan, Chelsea e della nazionale italiana, a contatto con allenatori come Fabio Capello, Josè Mourinho, e Marcello Lippi. Ora allenatore della Lupa Roma in serie D, Marco Amelia dal settembre scorso è anche un pilastro dei Memories Ghost, organizzazione multigaming con la quale ha creato il Team Amelia, che gioca su FIFA Pro Club. 11 videogiocatori, con ogni player che controlla i movimenti del proprio giocatore sullo schermo: uno a testa, come se fosse una vera partita di calcio. Una prospettiva che pare abbia affascinato Marco Amelia fin da subito.

Buongiorno Marco, ci puoi raccontare come è nata questa idea con il team Memories Ghost?

Prima di lanciarmi in questa avventura avevo incontrato il videogioco solo in ritiro, poi in qualche serata divertente con gli amici. Più di recente giocando con figli e nipoti, ma niente di più. L’avventura del Team Amelia nasce dalla mia conoscenza con Mirko e Stefano, i founder dei Memories Ghost. Quando mi hanno contattato a dire il vero ho subito precisato  che non mi posso muovere, perché attualmente faccio l’allenatore, ma loro mi hanno illustrato questo mondo e il motivo di questa proposta. Ho scoperto che Memories Ghost ha un progetto importante sul settore eSports partito già due anni fa con l’idea di crescere, ma senza forzature. Ora i Memories Ghost contano un’ottantina di membri, una importante collaborazione con il Salaria Sports Village, e molti nuovi progetti in ballo. Così io, sempre interessato a questo tipo di novità, non ci ho pensato su molto; ho capito subito che c’è possibilità di creare qualcosa, lavorando in un sistema che ha alla base un progetto formativo.

Il Team Amelia, dunque, è partito così, sull’onda dell’entusiasmo, ora come sta andando?

Sì, ho pensato: questa è una figata pazzesca! Mi è piaciuto il progetto, soprattutto a livello educativo, e mi ci sono buttato. D’altronde il videogioco è un bel passatempo e non è assolutamente negativo, se usato con moderazione e con un obiettivo preciso. È un passatempo che ai ragazzi piace, mi sono detto, tanto vale provare a trasformarlo in qualcosa di utile. Così, assieme ai Memories Ghost, abbiamo deciso di lavorare per la creazione di una nuova squadra, prendendo dei ragazzi e portarli ad unirsi sotto l’idea di un gruppo. Ora giochiamo su più piattaforme (Pc, Xbox e Playstation), vedo una crescita continua dei ragazzi, raggiunta con serietà e fatica. Ma ripeto sempre ai ragazzi: alla base di ogni successo c’è tanto lavoro oscuro.

Come mai avete pensato di puntare sul Pro Club, e dunque su un team e non sul singolo campione?

Il Pro club è molto affascinante. Si gioca 11 contro 11 e questo si sposa alla perfezione con il progetto di costruire un’identità di squadra, di prendere dei ragazzi, farli crescere, farli diventare uomini e professionista, un domani. I Memories Ghost hanno anche un team di Fut (modalità di Fifa 1 contro 1, ndr), hanno un mental coach, hanno altre squadre. Io arrivo per dare supporto, per portare la mia esperienza di sportivo, fatta di  mentalità, carattere, comportamento, rispetto per compagni e per l’allenatore, e soprattutto tanto spirito di squadra. Concetti che ho appreso lavorando io stesso con grandi allenatori, come Mourinho, Capello e Lippi, tra gli altri.

In che modo si svolge l’allenamento con coach Amelia?

C’è molta differenza tra l’allenare in campo e allenare 15 ragazzi di un team virtuale. Sul campo li vedi tutti in faccia, il discorso che si fa è prettamente fisico. Nel discorso videogioco invece la comunicazione diventa più difficile, ci si sente ma non ci si vede se non attraverso il giocatore virtuale. Si tratta comunque di un allenamento quotidiano che come impegno è alla pari di quello per il calcio reale: agli appuntamenti sono sempre tutti presenti e puntuali. Quando ci sentiamo io fornisco i miei consigli e cerco di trasmettere quelli che sono i miei valori in campo sportivo. Chiedo soprattutto il rispetto per il capitano, che nel Pro club gestisce e coordina la comunicazione. E poi il rispetto del ruolo, per evitare confusione. I ragazzi sono quasi tutti della stessa città, di Ancona, e si conoscono anche di persona, questo sicuramente un po’ mi facilita il compito. Ma per il resto devo dire che io sono solo un plus, perché il grosso del lavoro lo fanno i ragazzi, anche in allenamento, sentendosi e confrontandosi tra i vari team.

Quali sono i vostri obiettivi a breve e a lungo termine?

Per prima cosa puntare sul gruppo. L’ultima cosa che vorremmo è che, come accade per altri team, ogni anno ci fosse un roster da rifondare. Noi vogliamo puntare su un gruppo stabile, anche perché credo che il Pro Club sia una valida alternativa al calcio reale, e prima o poi esploderà. E noi ci prepariamo a questo: per il momento i risultati in campo sono importanti, ma sempre secondari, perché la cosa adesso è capire come migliorarci. Il grande obiettivo è quello di creare un gruppo di professionisti capaci di entrare nella scena eSports che conta.

Un progetto destinato a durare e a crescere, dunque, Marco Amelia non è solo un marchio promozionale!

Direi proprio di no. Anche perché al momento penso neanche esista un modo per monetizzare il lavoro che stiamo facendo. Come accennavo prima si lavora a lungo termine, anche con l’idea che il gioco, per qualcuno, possa diventare un lavoro. Quello del videogame è un mondo attraente con una sua economia interna, intesa come mondo lavorativo. L’importante, come in tutti i settori d’altronde, è essere preparati e organizzati, altrimenti si rischia di fare il botto, come peraltro capita talvolta anche nel calcio reale, quanto è mal gestito e poco organizzato.

Un’ultima domanda, da sportivo cosa pensi dell’inserimento degli eSports alle Olimpiadi?

Personalmente credo che ci possa stare, l’eSports è un qualcosa che attrae e può benissimo essere inserito in ambito olimpico. Occorre però rispettare le regole e attendere quindi che ci sia un riconoscimento ufficiale degli eSports come sport. Se si arriverà a questo sinceramente non riesco a prevederlo, posso capire anche che non sia così facile accettare gli eSports. Probabilmente è solo necessario del tempo, poi ci si renderà conto che anche se non c’è fatica fisica, c’è molta fatica mentale, c’è un dispendio di energie, c’è un’organizzazione personale e di team, tutti aspetti che avvicinano molto il videogame competitivo agli sport attualmente riconosciuti. Tuttavia secondo me, che entrino o no nelle olimpiadi, gli eSports saranno delle manifestazioni che trascineranno sempre tanta gente, perché in fin dei conti i videogiochi piacciono a tutti.