Yoshitaka Amano:

Il leggendario artista giapponese Yoshitaka Amano tra gli ospiti d’eccezione di questa edizione del Lucca Comics and Games e noi tra i fortunati che hanno potuto intervistarlo.

La sua penna ha dato vita all’estetica di Final Fantasy, ha illustrato The Sandman e ha animato Tekkaman e Gatchaman tra tantissimi altri. In questa intervista, però, parleremo solo tangenzialmente dei suoi capolavori videludici concentrandoci più su una discussione fondamentale per il mondo del gaming: i videogiochi sono una forma d’arte?

“La mia idea è che non ci siamo ancora ma probabilmente fra un po’, piano piano, stiamo arrivando all’idea che i videogiochi possono essere una forma d’arte e lo saranno. Il videogioco è ancora troppo legato al mercato, se un titolo vende e ha successo allora può diventare popolare ma ci sono anche dei videogiochi bellissimi che non vendono e quindi muoiono sul nascere. Il videogioco, poi, è comunque sempre legato alla tecnologia, cosa da cui l’arte e più libera. Dall’epoca del Famicom, in cui i personaggi erano un mucchio di pixel, a ora è cambiato tutto, con le nuove tecnologie e la nuova computer grafica abbiamo raggiunto un altro livello”.

Anche la fotografia, nei suoi primi anni, è stata stigmatizzata per il suo aspetto tecnico quando in realtà è sempre stata una persona a scattare. Ora differenziamo gli artisti dai programmatori, queste due figure sono destinati a fondersi?

“È un concetto molto interessante, in effetti è vero che dobbiamo sempre tenere in considerazione tutti coloro che realizzano un videogioco. In particolare, pensando al mondo della realtà virtuale e alla sua vastità, lì vedo la possibilità concreta di realizzare cose più artistiche anche grazie alla prospettiva soggettiva che offrono i visori”.

Lei è un artista che lavora con carta e pennelli, come si sente quando le sue opere vengono affidate a chi deve trasformarle in pixel?

“Per me non esiste un passaggio dalla carta al digitale perché io, come artista ho un ruolo ben chiaro: realizzare l’illustrazione. Io lavoro su commissione, quando poi le mie opere vengono trasformate, sia in pixel per i videogiochi sia in animazioni per gli anime, io so che ci sono persone estremamente competenti con questo compito e mi fido completamente di loro. Io sono un artista e mi fermo alla carta”.

Le sue opere sono tra le più amate della prima mostra sull’arte dei videogiochi in Italia (qui il nostro reportage) come la fa sentire?

“Quando le mie opere sono state esposte al museo sono stato veramente contento. L’obiettivo dell’artista è quello di far conoscere le sue opere e di condividere la propria visione del mondo. Piuttosto che i videogiochi o l’animazione, quando effettivamente le mie opere sono state portate al museo ero molto contento perché è la mia aspirazione. Il museo è il posto dove andare a vedere le opere. Sono stato agli Uffizzi e ho visto la Venere di Botticelli, non l’avevo mai vista di persona ed è solo di persona che mostra la sua magnificenza. Lo stesso concetto si applica alle mie opere: la mia aspirazione è sempre stata quella che le persone andassero al museo per vedere quello che ho realizzato”.

Pensa che in futuro sarà più facile per gli artisti del mondo videoludico approdare nel mondo della cultura?

“Pensate a un artista come Michelangelo, lui era pittore, scultore ed architetto, non c’era modo di separare questi talenti in lui. Adesso probabilmente c’è troppa divisione e le persona si focalizzano solo su una sola cosa, le persone o fanno gli scultori, o i pittori o gli architetti. La stessa cosa vale per chi disegna i videogiochi. Probabilmente sanno fare tantissime coese, sono illustratori e artisti a 360° ma fanno solo quello e oggi è difficile emergere quando fai una sola cosa. Se siete persone artistiche di natura dovete cercare di fare più cose diverse nell’arte se volete emergere, forse è per questo che arrivare al museo è così difficile”.

Quali sono state le sue fonti di ispirazione che hanno forgiato il suo stile personale?

“Ho avuto tantissime fonti nella mia carriera ma una cosa che mi ha sempre ispirato sono gli artisti del rinascimento, molto più di quelli moderni. Ho avuto modo, in questi giorni di incontrare Botticelli e Michelangelo che per me sono capolavori senza tempo, sono passati 500 anni da quando sono stati realizzati ma sono ancora considerati delle pietre miliari dell’umanità e le considero la mia maggior fonte di ispirazione artistica. Ho sempre tratto molta ispirazione anche da Superman e Batman, che erano si personaggi immaginari ma con un background reale. Ho sempre lavorato nel mondo del fantasy quindi le mie ispirazioni concrete venivano principalmente dalla DC Comics. Quando erao un ragazino era molto difficile reperire i fumetti americani, quando ero piccolo andavo in una zona di Tokyo dove c’era qualcosa e si faceva quello che si poteva. Mi ha ispirato molto Neil Adams, che so che è venuto qui a Lucca e sono onorato di essere alla stessa fiera a cui è venuto lui”.

Qual è il suo prossimo obiettivo a livello artistico?

“Ci sono due cose che considero i miei prossimi obiettivi e sono entrambi molto concreti: il primo è che  il 23 novembre a Kyoto, all’interno del tempio di Myoshin-ji, verrà realizzata una mia mostra in realtà virtuale. Sto ancora disegnando per l’evento ma il fatto di potersi muovere all’interno del tempio con la realtà virtuale è una delle cose che non vedo l’ora di fare. L’altro è visitare la mia mostra a Torino, non riesco a nascondere l’emozione di una cosa così importante. Un altro mio grande obiettivo è realizzare su una tela grandissima l’illustrazione della Venere di Botticelli che ho fatto per Vogue Italia due anni fa. Vorrei proprio esporla in un museo italiano”.

Tornando alle sue origini, può raccontarci un piccolo dietro le quinte di quando ha dato vita all’estetica di Final Fantasy?

“Già prima dell’87, quando è uscito il primo Final Fantasy, sapevo che avrei dovuto realizzare delle illustrazioni fantasy per un gioco in uscita. Mi fu chiesto un personaggio principale profondo, sviluppato, non il solito uomo muscoloso. Per una persona giapponese la nostra storia non è mistica o mitica, è solo storia; quindi, quando dovevo dare vita a Final Fantasy sono partito dalla mitologia Europea. Una città antica come Lucca, per esempio, le città, la storia e il passato occidentali sono stati le fondamenta su cui ho costruito Final Fantasy. Quando ho cominciato con le animazioni il mio obiettivo era di forgiare il mio stile. Non potevo guardare solo al mio lavoro e alla mia direzione, dovevo capire come lavoravano gli altri e cosa facevano. Per me è stato fondamentale mettermi in discussione affrontando nuove sfide che non avevo messo in programma”.

Come è nata la collaborazione con Neil Gaiman per l’universo di Sandman?

“Al tempo una mostra personale a New York a cui venne un editor della DC che mi chiese se ero interessato a una collaborazione. Feci un poster per loro, Neil Gaiman lo vide e venne da me per collaborare alla storia di Sandman. Accettai subito e la collaborazione si svolse così: lui scriveva i testi e io li illustravo per sottoporglieli. Mi sono davvero divertito. C’è un lavoro segreto al momento in lavorazione ma non posso dire niente”.