E3: perché la sua morte dovrebbe preoccuparci

Sembrava che il 2023 fosse l’anno giusto per la rinascita dell’iconica fiera ma dopo la notizia della cancellazione le speranze si sono proprio affievolite.

L’E3, la fiera dedicata ai videogiochi che negli anni passati rappresentava il momento più alto dell’anno per quanto riguardava annunci e presentazioni, non si farà nemmeno quest’anno. L’ultima edizione si è tenuta nel 2019 e dopo la pandemia la grande esposizione del mondo del gaming non è più riuscita a riprendersi. La sua morte, però, è iniziata prima dei lockdown e la sua assenza potrebbe portare a un significativo peggioramento della competitività nel mondo del gaming.

L’E3 era un’arena dove i più grandi sviluppatori ed editori di videogiochi al mondo si contendevano l’attenzione e l’interesse di giornalisti ed esperti. Ogni anno venivano incoronati vincitori e perdenti di ogni giornata e, alla fine, di tutto l’evento consegnando al pubblico una visione d’insieme fatta di esperienza giornalistica e passione per il mondo del gaming. Per essere notati non si poteva non essere all’E3 e per vincere questa guerra bisognava presentarsi con i titoli più promettenti, intriganti ed emozionanti.

Venire incoronati vincitori significava avere un gigantesco hype train a trainare il proprio gioco e finire nel girone dei perdenti poteva voler dire la cancellazione in toto di un progetto. C’era tanto in gioco ma questo processo di selezione (che aveva le sue pecche e poteva essere non troppo difficilmente manipolato con gli eventi giusti) distillava il meglio che l’industria aveva da offrire in previsione di un autunno caldo in cui sviluppatori grandi e piccoli si sarebbero contesi l’attenzione, e i soldi, degli appassionati.

Mettendosi nei panni di un grosso sviluppatore ed editore come Sony, Nintendo Ubisoft o Microsoft, però, questo processo comincia a sembrare un rischio e una spesa inutile. “Perché – si sono certamente chiesti i dirigenti di queste multinazionali del gaming – spendere milioni di dollari per avere uno stand mega-galattico, organizzare conferenze per la stampa e corteggiare i giornalisti per 3 giorni quando posso semplicemente organizzare la mia presentazione online, in un momento in cui non ho concorrenza mediatica e dopo la quale posso prendere 4 influencer e pagarli per promuovere i miei giochi?” Ecco che improvvisamente non ci troviamo più di fronte a un’arena che incorona vincitori e vinti ma davanti a una serie di televendite che promettono tutte un nuovo ed entusiasmante titolo che rivoluzionerà il suo genere.

Un mondo senza E3 è un mondo con un po’ di competizione in meno e un mondo dove, ancora una volta, l’analisi professionistica di un giornalista lascia spazio ai paroloni e alle urla di un influencer. È vero che l’E3 per anni ha sfruttato la sua posizione monopolistica per mungere quanti più dollari possibile ed è vero che non potersi permettere di andare all’E3 ha inevitabilmente condannato capolavori dello sviluppo indipendente a restare nell’ombra. Siamo estatici della recente apertura della stampa e del mondo dell’informazione generalista ai videogiochi, soprattutto a quelli made in Italy che con i vecchi budget non sarebbero mai potuti approdare a Los Angeles.

Se guardiamo ai AAA, però, è indubbio che nel panorama odierno manchi un momento di confronto diretto tra le grandi produzioni videoludiche che, purtroppo, si stanno omogeneizzando al solito prodotto disegnato per vendere tanto in poco tempo e venire abbandonato nel giro di 3 mesi. Che la Gamescomm possa raccogliere l’ascia di guerra dell’E3 e trasformare l’Europa nel centro della produzione videoludica mondiale? Difficile anche perché vorrebbe dire sacrificare la natura più indipendente degli eventi e sviluppatori presenti di solito alla Games Comm.

Solo il tempo ci potrà dire se, tra mega acquisizioni e accordi sottobanco, il mondo delle produzioni milionarie riuscirà a restare competitivo o ci continueremo, ogni anno, a recensire lo stesso videogioco di un franchise che sarebbe dovuto morire 5 anni fa.

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