Nel corso del webinar promosso da IIDEA sono stati affrontati diversi temi sensibili riguardo la sostenibilità con esponenti del settore.

La pandemia, la professionalizzazione del settore, il coraggio delle aziende di investire: questi e altri temi sono stati affrontati in occasione del Webinar “Creare un contesto sostenibile per gli esports in Italia” promosso da IIDEA, l’associazione italiana di categoria del mondo videoludico, durante il quale ha anche presentato il documento “Guida agli Esports”, realizzato realizzato dall’Isfe Esports insieme a Entertainment Software Association (USA), Entertainment Software Association of Canada, Interactive Games and Entertainment Association (Australia e Nuova Zelanda) e Interactive Software Federation of Europe, di cui IIDEA è membro.

Gli esports hanno aiutato le persone a sentirsi meno isolate

L’evento è stato moderato da Alessio Crisantemi, direttore responsabile della nostra testata Esportsmag.it. Dopo aver ricordato quanto sta accadendo tra Russia e Ucraina, riportando la testimonianza di Eugene Katchalov, co-fondatore dei Qlash, fuggito da Kyiv, Crisantemi ha dato immediatamente parola a Sergi Mesonero, Head of Isfe Esports, che ha presentato la Guida agli Esports partendo dalla struttura del documento (che sarà reso pubblico da IIDEA stessa sul proprio sito) diviso in diversi sezioni, dal concetto di esports fino alla sostenibilità dello stesso settore. Quest’ultimo è stato proprio il cardine del webinar che ha coinvolto Federico Brambilla, Vice presidente di IIDEA e Ceo di Exeed, Marco Soranno, Esports Product Manager di PG Esports, Carlo Barone, Supervisor e Brand Management Italy di Riot Games, e infine Luca Pagano, Ceo di Qlash.

Sergi Mesonero ha in particolare mostrato come, secondo quanto rilevato da GameTrack Data nel report realizzato da Ipsos Mori e commissionato proprio da Isfe, il videogioco multiplayer, esports inclusi, ha aiutato le persone a sentirsi meno sole negli ultimi anni, in particolari nel periodo più critico della pandemia. Il 20% dei genitori ha giocato molto di più con i propri figli, più o meno grandi, durante i vari lockdown ma le statistiche mostrano soprattutto in particolare come i giocatori multiplayer abbiano ricevuto benefici maggiori rispetto ai giocatori in generale in merito al sentirsi più felici, con un 49% dei primi rispetto al 32% dei secondi, a sentirsi meno ansiosi e a rimanere in contatto con i propri amici.

Una dinamica che ha sottolineato anche lo stesso Carlo Barone di Riot Games: “Durante la pandemia molti hanno trovato nel videogioco una via di fuga e hanno abbracciato i nostri prodotti sia per il nostro storico ma perché sono prodotti gratuiti. A livello di comunicazione è stata senza dubbio una grande sfida, abbiamo dovuto cambiare l’intero approccio perché noi per primi abbiamo sempre messo il rapporto con i giocatori davanti a tutto e abbiamo sempre cercato di farlo in pubblico con eventi dal vivo. Molte nostre attività sono adesso dovute passare necessariamente in digitale ma siamo convinti che sia la via migliore per rimanere in contatto con tutti, content creator e giocatori. Per noi è stato sicuramente motivo di felicità in ogni caso vedere che i giocatori utilizzavano Riot Games per distrarsi e per affrontare quella situazione.”

Crescita organica ben presente

La pandemia è stata senza dubbio una delle tematiche più affrontate durante il webinar. Ha rappresentato una spinta secondo coloro che sono intervenuti ma non è da confondere con la crescita organica già esistente, come ha sottolineato Luca Pagano dei Qlash: “I ragazzi stanno crescendo. Quelli che 10 anni fa hanno iniziato a giocare o a seguire gli esports sono il traino del successo di oggi: hanno permesso agli esports di farsi conoscere. Stesso discorso per i più giovani che sono nativi digitali e per loro l’online è naturale, direi. È qundi da 20 anni che stanno crescendo, non dimentichiamolo mai.” Concetto ribadito da Marco Soranno di PG Esports: “La crecita a livello internazionale è da imputare alla crescita del pubblico, alla quantità di contenuto media che è stato assorbito negli ultimi anni. GenZ e Millennials non consumano più il media televisivo o tradizionale come un tempo ma è sempre più presente online. Dieci anni fa si diceva che nessuno si sarebbe divertito guardando gli altri giocare, e invece… Più il pubblico cresce, più cresce l’interesse, più i brand sono interessati a farne parte. La gente vuole consumare questo tipo di contenuto decisamente molto di più rispetto a 10 anni fa.”

Quanto ha inciso la pandemia

Il punto focale del discorso è che senza dubbio la pandemia ha incrementato, accelerato addirittura l’awareness verso il settore, la conoscenza degli esports a livello mediatico e di massa, ma la crescita organica è presente e costante già da diversi anni. Anche in Italia, come ha affermato Federico Brambilla, vice-presidente IIDEA, che ha anche parlato della posizione dell’Italia come settore: “Siamo stati all’Esports Bar di Cannes in autunno e ci torneremo nuovamente dal 4 al 6 aprile: l’obiettivo è portare l’Italia a essere conosciuta anche a livello internazionale per quello che fa in ambito esports.” Aggiungendo che il successo tra i giovani è da intendersi in via “naturale”: “È fisiologico che nell’era dell’online e del digitale un settore che includa gaming e esports sia protagonista. Per le nuove generazioni è tutto molto più vicino, più immediato.

Mancanza di professionalità

Un altro punto focale è stato come rendere sostenibile il settore. Il primo ostacolo sembrerebbe essere la difficoltà di trovare le professionalità più adatte, continua Brambilla: “Si fa fatica a trovare le professionalità, è complicato strutturarsi internamente. Si deve pedalare, lavorare spesso il doppio perché è un settore totalmente nuovo e molte dinamiche vanno imparate strada facendo. È un molto molto più complesso di quanto sia ipotizzabile dall’esterno e molti non se ne rendono conto.” Dello stesso avviso Luca Pagano: “La mancanza di certe professionalità è davvero uno dei punti deboli in Italia. Noi abbiamo fatto tante collaborazioni con scuole superiori, collaboriamo con HFARM, con dei politecnici. La nostra vera mission però è fare informazione, essere una sorta di vetrina dell’esports in modo da far capire cosa siano e come funzionino. L’obiettivo è far capire anche ai giovani cosa significa lavorare negli esports in modo strutturato.

Pensare dall’esterno

Ha poi aggiunto Soranno, raccontando l’esperienza di PG Esports che ha deciso di assumere personale proveniente anche da fuori il settore: “Abbiamo cambiato le nostre richieste di assunzione, perché gli esports cambiano rapidamente. Bisogna sicuramente avere delle basi ampie, come marketing o organizzazione di eventi, ma negli ultimi due anni abbiamo assunto persone che arrivassero da altri contesti, in modo da imparare ‘lingue’ differenti: sono loro stessi che devono aiutarci a pensare fuori dal nostro settore, senza pregiudizi e in modo da comunicare con le altre aziende che conoscono magari poco o nulla degli esports.”

Soranno ha anche raccontato come PG Esports si sia trasformata negli ultimi anni: “Siamo stati reattivi, ci siamo trasformati in un’azienda totalmente digitale e full remoto, con la conseguenza però di perdere gli eventi dal vivo. Ma siamo riusciti a creare dei prodotti che fossero fruibili anche da remoto, senza invalidare eccessivamente l’esperienza dello spettatore. Inoltre abbiamo anche attenzionato il segmento femminile, troppo spesso ingiustamente snobbato. Eppure secondo la Guida agli Esports il 30% della viewership è donna. C’è ancora tanto da fare, c’è un potenziale deicsamente maggiore di quel 30% e il motivo è che tante ragazze non riescono a seguire l’esports in modo sereno e inclusivo. In my shoes è stata ad esempio la nostra iniziativa dedicata con evento live alla MGW e i venerdì in diretta su Beyond PG, una sorta di luogo sicuro in cui si parla di rispetto di genere e dove poter anche solo ascoltare.”

Cosa manca all’Italia?

“All’Italia manca senza dubbio un percorso di educazione”, ha affermato Carlo Barone nel tentativo di spiegare cosa ancora manchi nel nostro paese affinché il settore compia un balzo in avanti. “Io vivo e lavoro in Spagna e vedo un settore che è molto più avanti, quindi so dove può arrivare l’Italia ma anche quanta strada c’è da fare. Si passa per un percorso di educazione, di portare strumenti e strutture che servono sì alle azienda ma anche e soprattutto ai giocatori, necessari per sviluppare i talenti e permettergli di competere. Forse proprio su questo punto siamo un po’ deboli in Italia ancora.” E conclude: “Il fatto è che il mondo esports si basa non solo sulle risorse economiche o di professionalità ma anche sui giocatori e sul percorso competitivo che bisogna pubblicizzare. Ci vogliono figure “nazionali”, quasi degli eroi italiani, che ce l’hanno fatta, che mostrano la strada, che possano raccontare storie che la gente ama seguire.”

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