La rete internet è una delle invenzioni più belle degli ultimi anni. Permette di condividere conoscenza, permette di “incontrare” persone lontanissime, permette di sfuggire ai vincoli di governi autoritari e permette di trovare soluzioni e risposte che in altre epoche avrebbero richiesto anni di studio. Non da ultimo, restringendo il campo al nostro “territorio”, il web ha permesso lo sviluppo di passioni e la nascita di nuove attività, dagli streamer ai pro player, dai caster agli esports reporter.

Ve li immaginati gli esports senza la rete? Senza quel collante che rende vivi, affascinanti e coinvolgenti eventi che si stanno svolgendo a migliaia di chilometri di distanza? Anche solo una singola partita tra un italiano e un sudcoreano che altrimenti avrebbero continuato a giocare da soli nella propria cameretta…

Ma il web, che ha quasi cancellato i confini tra le nazioni, tra le persone, tra le classi sociali e tra le professioni (peraltro illudendo i più ingenui che in qualunque campo 1 valga 1), ha cancellato anche molti di quei freni sociali che nella realtà limitano l’aggressività e gli scontri tra gli individui. In rete è più facile, facilissimo, comportarsi come dei cocainomani scatenati senza inibizione alcuna, lanciando improperi, offese e accuse gratuite contro qualsiasi bersaglio. Cosa che, diciamocelo, nella vita reale qualcuno di noi farebbe solo sotto l’effetto di pesanti sostanze psicotrope (o nel caso di gravi malattie cerebrali).

Quante volte, anche giocando online, capita di imbattersi in comportamenti fastidiosi, per non dire di peggio? Lasciamo da parte quelle che sono le vere e proprie truffe, delle quali abbiamo spesso e ampiamente parlato; più frequenti sono quei comportamenti che puntano a ridicolizzare l’avversario online, arrivando anche ad offese pesanti che, nel caso di soggetti deboli o in condizioni psicofisiche non ottimali, possono dare origine a conseguenze anche pesanti (ricordate l’esperienza del nostro lettore raccontata su “Italia Mafia, come here”? e i tanti casi di ragazze offese?). Non è assolutamente un caso se anche i principi fondamentali degli esports fissati qualche giorno da di comune accordo dai principali publisher mondiali vertono tutti sul rispetto e sulla necessità di rendere l’ambiente di gioco (virtuale o reale che sia) può confortevole.

Rispondere all’odio online, spesso nascosto dall’anonimato, prima ancora che dalla distanza e dalla mancanza di un contatto visivo, tranne in rari casi pareva impossibile. Ora però una startup milanese vuole provarci. Chi Odia Paga, questo il suo nome, che in acronimo diventa COD, ha pensato di raccogliere le esperienze sin qui fatte, soprattutto a livello legislativo, in difesa delle vittime di reati come diffamazione, stalking, revenge porn, cyberbullismo, hate speech rendendo la difesa e il contrasto di questo fenomeno facile tanto quanto lo è il seminare odio online.

“L’odio online dilaga e i mezzi per offendere sono “a portata di clic” di chiunque – si legge nella presentazione di Chi Odia Paga -, mentre gli attuali strumenti di tutela legale non permettono oggi di difendersi in modo altrettanto agevole e immediato. Chi Odia Paga è nata per colmare questo gap. Si tratta di una startup tecnologica ad alto impatto sociale che ha sviluppato la prima piattaforma italiana che difende legalmente le persone bersaglio di odio online (come misoginia, xenofobia, islamofobia, omofobia, antisemitismo)”.

Un’idea probabilmente nata leggendo la cronaca di tutti i giorni, un’esigenza sviluppatasi analizzando i dati. Secondo stime dell’International Center for Research on Women, citate nel sito di COP, nel mondo il 73% delle donne ha subìto un qualche tipo di violenza di genere tramite strumenti digitali, ma l’odio online si accanisce contro qualsiasi gruppo sociale. L’ultima “Mappa dell’intolleranza” redatta ad inizio 2019 da Vox Diritti su un campione di oltre 215.000 tweet “italiani” che sono stati analizzati, ben il 70% contiene messaggi di odio: tra questi il 32% riguardava i migranti (+15% rispetto al 2018), il 27% era contro le donne (+2% rispetto al 2018), il 15% riguardava odio contro gli islamici (+7%rispetto al 2018), l’11% contro i disabili (+3% rispetto al 2018), il 10% contro gli ebrei (+6% rispetto al 2018) e il 5% contro gli omosessuali.

Così nel 2018, su iniziativa di Francesco Inguscio, imprenditore seriale in ambito tecnologico e CEO di Nuvolab, uno dei venture accelerator più attivi nel mondo startup italiano, nasce Chi odia paga, e dal 28 ottobre associazioni, aziende, influencer, professionisti del settore a registrarsi al sito www.chiodiapaga.it in vista del lancio ufficiale che avverrà a inizio 2020. Il progetto è sostenuto dal fondo di impact investing Oltre Venture, che nella startup ha investito 200mila euro in un primo round seed. A fianco di Francesco Inguscio, come advisor legale, c’è l’avvocato Giuseppe Vaciago e un team di giuristi con esperienza ultradecennale in ambito digital forensics.

Presto per dire se questa sarà la risposta definitiva all’odio online. Di certo è il primo tentativo in Italia e uno dei primi nel mondo, come ci ha spiegato Francesco Inguscio un qualcosa di simile finora si è visto solo in Finlandia con il progetto Someturva.fi, che peraltro ha ottenuto 3 milioni di euro di finanziamenti dall’Unione Europea. Per ora segnatevi questo URL: “https://chiodiapaga.it/”, facilissimo anche da ricordare, e non appena vi imbattete in un odiatore evitate di passare al post successivo, e agite.

Solo così la realtà della rete – e chi più di un appassionato di esports sa quanto sia “reale” la rete!? – potrà essere migliorata e resa più vivibile: agendo, tutti, in prima persona, per contrastare lo schifo. E ricordando che ora Chi Odia Paga.