“Cura Italia”, qualcuno ha pensato a chi lavora negli esports?

Mentre prosegue, nella Commissione Bilancio del Senato, l’esame del disegno di legge n. 1766 per la conversione in legge del decreto n. 18 per il Potenziamento del Servizio sanitario nazionale e sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connessi all’emergenza da Covid-19, il cosiddetto Decreto Cura Italia, diventa legittimo chiedersi se, e cosa, è attualmente previsto anche per il settore degli esports.

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Al momento una delle industrie più recenti, che negli ultimi anni, e fino a qualche mese fa, aveva peraltro dimostrato numeri importanti, frutto di una continua crescita di interesse, ma soprattutto di una crescita qualitativa e quantitativa di professionalità impegnate nel settore, sembra quasi scomparsa. Tutti gli eventi dal vivo sono stati cancellati o posticipati, i publisher si sono ritirati sospendendo gran parte delle attività, le uniche attività rimaste si svolgono online, laddove gli organizzatori più esperti e affidabili hanno saputo rapidamente “convertirsi”, o lì dove si realizzano iniziative spontanee, lodevoli per quanto, talvolta,  estemporanee.

Ma è palese che il settore non possa continuare a lungo così. Si tratta pur sempre di un settore produttivo che fa girare una discreta fetta dell’economia nazionale, e che un prolungato stop potrebbe mettere in ginocchio, anche, purtroppo, con la perdita di posti di lavoro. Per questo sarebbe state auspicabile che, tra le centinaia di emendamenti presentati entro il termine di venerdì 27, ve ne fosse stato qualcuno anche relativo agli esports.

Non abbiamo ancora avuto modo di vedere le proposte di modifica che, secondo quanto hanno raccolto i colleghi di Gioconews.it, potrebbero sfiorare quota mille (i tecnici del Senato sono all’opera per la catalogazione e il faldone sarà pubblicato la prossima settimana). Il provvedimento è atteso in Aula mercoledì 8 aprile, mentre il termine per la presentazione di subemendamento a eventuali emendamenti di relatore e Governo è fissato per martedì 31 marzo. Salvo miracoli anche in queste date gli esports saranno esclusi.

Il problema, o almeno il più grosso problema, è che l’esports in Italia sta vivendo ancora in una situazione di quasi totale deregulation. Anche un percorso come quello affidato dal Coni nelle mani di Michele Barbone, è in una fase purtroppo ancora troppo embrionale, e ancora non si può dire dove porterà e cosa comporterà per chi opera negli esports in Italia.  Allo stato attuale questo è il primo dei motivi per cui è difficile che il settore dei videogiochi competitivi, inteso nelle figure dei suoi attori principali (team, player, coach e staff in genere), possa beneficiare di misure ad hoc stabilite dal Legislatore.

Diversa la situazione per gli organizer, che possono ricorrere agli ammortizzatori sociali previsti dal decreto. Al di là di questo società più strutturate, come quelle che organizzano i principali eventi nel nostro Paese, potrebbero usufruire di agevolazioni simili a quelle degli operatori del gioco, a loro volta duramente colpiti dai decreti del Presidente del Consiglio di ministri, adottati nei mesi di febbraio e di marzo per far fronte all’emergenza nazionale a causa del coronavirus.

Si fa invece più complesso il discorso per i team. Molti di questi sono sia ASD (Associazioni sportive dilettantistiche) che Società, e per ognuno di loro va dunque valutato anche se versano il “Contributo cassa integrazione”; altrimenti possono sperare al più alla CIG, Cassa Integrazione Guadagni in deroga (ma non la CIGO, ossia la Cassa integrazione ordinaria).

Mancano ancora troppi elementi per comprendere, invece, se le “semplici” ASD esportive  possano accedere quanto meno al beneficio dei 600 euro per i collaboratori sportivi, in quanto non risultano al momento iscritte nel Registro CONI. Abbiamo provato a chiedere lumi a qualche esperto di legislazione legata agli esports, ma senza ottenere alcuna dichiarazione in merito, non essendo ancora possibile avere un’interpretazione univoca della norma. Il rischio, in breve, è che usufruendo oggi del beneficio per i collaboratori sportivi, ci si trovi, a emergenza terminata, con l’INPS alla porta a chiedere la restituzione degli emolumenti in quanto non realmente incluso nell’ambito di applicazione della norma.

Come si comprende, ad acuire notevolmente il problema c’è anche la disomogeneità dei soggetti che compongono oggi il panorama esports italiano. Non c’è oggi, un modo per fare fronte comune, e probabilmente mentre scriviamo ci saranno molti presidenti, proprietari e amministratori con le mani nei capelli, lì a chiedersi come venirne a capo.

La speranza, ovviamente, per l’intero Paese prima che per il solo settore degli esports, è che se ne venga fuori il prima possibile. Successivamente è proprio da questa grave difficoltà attuale che si dovrà ripartire, per creare al più presto un soggetto che abbia peso specifico e che possa chiedere di diritto di avere voce in capitolo anche a livello politico. Occorrerà proseguire i percorsi avviati cercando di accelerarli, in modo da non trovarsi impreparati quando si ripresenterà l’esigenza di fare squadra.

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