Una sentenza della Corte di Giustizia tributaria del Piemonte su Cristiano Ronaldo fissa nuovi paletti che interessano anche il mondo del gaming.

Con la sentenza 219/2/2023 la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte ha confermato la precedente decisione della Commissione tributaria provinciale di Torino, la quale aveva negato il rimborso delle imposte versate da un influencer di primo piano come Cristiano Ronaldo, in riferimento ai redditi conseguiti nel 2019 dallo sfruttamento del proprio diritto di immagine. Tutto risale ai tempi in cui il calciatore vestiva la maglia della Juventus, essendo quindi fiscalmente residente in Italia: in quel periodo aveva esercitato l’opzione per il regime di imposizione sostitutiva dei redditi prodotti all’estero, ai sensi dell’articolo 24-bis del Tuir. E attraverso una serie di istanze di interpello – come riporta il quotidiano fiscale IlSole24Ore – aveva chiesto all’Agenzia delle Entrate la conferma dell’applicabilità ai redditi derivanti dalla concessione del diritto di sfruttamento della propria immagine per scopi commerciali. Nelle more delle risposte dell’Agenzia, Ronaldo aveva versato le imposte e presentato la dichiarazione nel prudenziale assunto che il regime non si applicasse a tali redditi, per poi chiedere il rimborso del tributo.
Ebbene, la Corte tributaria del Piemonte ha confermato invece il diniego al rimborso, qualificando le somme come redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia, dove di doveva ritenere condotto l’esercizio abituale e professionale della gestione dell’immagine, in ragione della localizzazione della residenza e del luogo di esercizio dell’attività di lavoro dipendente di Cristiano Ronaldo.

I RISVOLTI NEL GAMING
Al di là della vicenda in sé, che diventa inevitabilmente popolare per via della rilevanza del profilo del (super) contribuente, la sentenza appare rilevante perché fissa alcuni punti di interesse per tutti quelli che esercitano l’attività di influencer, come ne esistono a bizzeffe nel mondo del gaming: e su questi stessi punti ora si dovrà misurare la giurisprudenza successiva, e in particolare la Cassazione.
Occorre infatti evidenziare, prima di ogni altra cosa, che i giudici hanno rilevato un elemento fattuale generale che coglie nel vivo i nuovi fenomeni di sfruttamento mediatico dell’immagine di personaggi pubblici (in particolare, appunto, degli “influencer”): la notorietà di tali soggetti, “ancorché originata da una qualche specifica attività artistica o professionale, dipende ormai, in misura assai maggiore, dalla capacità del soggetto interessato di promuovere il proprio personaggio, in modo professionale, sui mezzi di comunicazione di massa”. Si tratta quindi di una attività di promozione strettamente connessa al conseguimento dei redditi derivanti dallo sfruttamento di immagine ce costituisce sotto il profilo tributario un’attività di lavoro autonomo, non essendo qualificabile come attività di impresa a motivo della prevalenza dell’intuito personale e dell’ordinaria assenza di una significativa organizzazione di mezzi e capitale.
Come scrive il quotidiano economico, anche se ciò non emerge chiaramente dalla sentenza, “si ritiene che tale attività possa in concreto presentare gradi di intensità, complessità e continuità differenziati; con la conseguenza di poter essere sussunta tra le attività produttive di redditi di lavoro autonomo (ove esercitata conformemente al canone della abitualità) oppure tra quelle produttive di redditi diversi ex articolo 67, comma 1, lettera l) del Tuir (ove priva del requisito della abitualità)”.
In entrambi i casi, la qualificazione ha effetto anche sull’individuazione della territorialità del reddito, fissandone il criterio di determinazione nel luogo di esercizio dell’attività, conformemente all’articolo 23, comma 1, lettere d) e f). In tale prospettiva, la Cgt ha ritenuto che l’attività di gestione dell’immagine sia strettamente correlata alla persona fisica a cui l’immagine inerisce e, dunque, che debba essere considerata in via presuntiva – e salva ogni prova contraria – come esercita nel luogo in cui la persona abitualmente risiede, in quanto non dissociabile da quest’ultima.

Non solo. Da notare anche che la Corte tributaria ha rigettato la tesi della “sussumibilità dei redditi de quibus nell’alveo dell’articolo 53, comma 2, lettera b) del Tuir”, concernente i redditi derivanti dallo sfruttamento da parte dell’autore o dell’inventore di diritti di proprietà intellettuale. Da un lato, infatti, la fattispecie in oggetto non è menzionata da tale disposizione, che richiama esclusivamente i redditi derivanti dall’utilizzo economico di opere intellettuali. Dall’altro, non pare ragionevole procedere a un’estensione analogica della fattispecie, stante la difficoltà di individuare nell’immagine un’opera dell’ingegno autonoma rispetto al titolare del diritto, al quale pare indissolubilmente legata.
Insomma, il Fisco italiano non sembra voler mollare la presa sui redditi provenienti dalla new economy del web, sei social e dello streaming. E anche per il mondo del gaming le cose potrebbero dunque cambiare, e molto.

(Foto da: https://www.flickr.com/photos/dubyna/)